Domande discriminatorie: Cosa Sono e Come Evitarle?

Premessa

Qualche giorno fa, un potenziale cliente, titolare di una Ditta Individuale, ha inviato allo Studio la seguente domanda: “Buona sera, sono ******, titolare della Ditta Individuale *******. Ho bisogno di assumere del personale per ampliare l’organico. Tuttavia, sul web c’è confusione sulle domande che non si possono fare ai colloqui. Alcuni dicono che sono vietate dalla legge (ma non ho trovato la legge in questione); altri dicono che questo divieto è stato messo in circolazione tanto per farlo. Potete fare chiarezza? Esiste una legge che vieta determinate domande? Se viene violata, quali sono le possibili conseguenze? Grazie!

 


Risposta

Certamente. Nell’ambito legislativo italiano, esiste una norma specifica che elenca le caratteristiche tassativamente vietate. La normativa in questione è l’art. 27 del Decreto Legislativo n° 198 del 2006, che recita:

Art. 27 – Divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 3)

È vietata qualsiasi forma di discriminazione nell’accesso al lavoro, sia in forma subordinata che autonoma, così come nei criteri di selezione, nelle condizioni di assunzione e nella promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e dal settore o ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale, inclusa la creazione, la fornitura di attrezzature, l’ampliamento di un’impresa o l’avvio di attività autonome.

La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:

a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia, di gravidanza, maternità o paternità, anche adottiva;

b) in modo indiretto, mediante meccanismi di preselezione, annunci di lavoro o qualsiasi forma pubblicitaria che imponga come requisito l’appartenenza a un determinato sesso.

Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si estende anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, aggiornamento professionale e riqualificazione, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto riguarda sia l’accesso sia i contenuti, così come all’affiliazione e all’attività in organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro, o in qualsiasi altra organizzazione professionale.

Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse solo per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.

Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate da datori di lavoro privati e pubbliche amministrazioni, anche attraverso terzi, la specificazione del sesso è richiesta solo quando costituisce un requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.

Non è considerata discriminazione condizionare l’assunzione in attività della moda, dell’arte e dello spettacolo all’appartenenza a un determinato sesso, quando ciò è essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.

Pertanto, la classica domanda “Lei, con chi vive?” non solo è vietata dalla normativa citata, ma può configurare una discriminazione in chiara violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, che sanciscono il Principio Personalistico e il Principio dell’Uguaglianza.

Potreste legittimamente chiedermi: “Ma perché alcune domande sono vietate?”. La risposta può sembrare ovvia per alcuni, ma non per tutti. Il legislatore nazionale ha deciso di proibire determinate domande per promuovere una leale concorrenza nel mercato del lavoro. La domanda “Lei, con chi vive?” non valuta le vere competenze e capacità del candidato, bensì lo giudica in base a dettagli personali come la situazione abitativa, ignorando la sua storia e le circostanze familiari (ad esempio, supporto ai genitori in difficoltà).

Questa riflessione trova fondamento nell’art. 25 dello stesso Decreto Legislativo n° 198 del 2006:

Art. 25 – Discriminazione diretta e indiretta

Il testo del comma 1 stabilisce che costituisce discriminazione diretta qualsiasi atto, pratica o comportamento che, discriminando, pregiudica le candidate e i candidati, le lavoratrici o i lavoratori in fase di selezione del personale, in base al loro sesso, garantendo loro un trattamento meno favorevole rispetto ad altri in situazione analoga.

La discriminazione indiretta, come definita nel comma 3, si verifica quando prassi, procedure o comportamenti apparentemente neutrali mettono o possono mettere i candidati di un determinato sesso in una posizione di svantaggio rispetto agli altri, a meno che non siano requisiti essenziali per il lavoro, con mezzi appropriati e necessari a fini legittimi.

In aggiunta alla giurisprudenza vigente, la Cassazione civile, sezione lavoro, con la sentenza del 04/02/2019 n° 3196, ha stabilito che è discriminatorio negare un’opportunità di lavoro a una donna sulla base della sua statura (un esempio che esula dalla nostra discussione principale sulle domande dirette e indirette discriminatorie).

Esiste un elenco esauriente di domande proibite?

No, non esiste un elenco dettagliato. Ogni caso è valutato individualmente, seguendo le disposizioni dell’art. 25 e 27 del Decreto Legislativo n° 198/2006.

 



 

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    Bibliografia

    DECRETO LEGISLATIVO 11 aprile 2006, n. 198 – Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246. Entrata in vigore del decreto: 15-6-2006 (Ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 30/06/2022) – (GU n.125 del 31-05-2006 – Suppl. Ordinario n. 133)

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    2) Art. 1 e ss. della Legge n. 4 del 2013.
    3) Artt. 2229 e ss. del Codice civile.

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